Caresto - Un eremo per la famiglia.

Storia

Da un folto gruppo di giovani e famiglie che si ritrovavano periodicamente fin dal 1972 presso le rovine di una parrocchia abbandonata, nasce nel 1980 un piccolo eremo con l'intento di perseguire innanzitutto un programma di crescita spirituale-umana soprattutto per le famiglie. Il luogo è semplice e con stile familiare.
In modo specifico il nostro eremo intende promuovere la spiritualità coniugale, essere cioè di aiuto e servizio alle coppie di sposi (e anche i fidanzati) perché riscoprano l'importanza del sacramento del matrimonio e le necessità della vita interiore fatta anche di dialogo e relazione senza la quale i matrimoni d'oggi purtroppo falliscono. In questo contesto è nata l'esigenza di produrre aiuti, sussidi e quanto è utile al risveglio ecclesiale e sociale verso la coppia e la famiglia.

Le fasi iniziali le abbiamo conosciute inizialmente soltanto dalla vulgata assai mitizzata dei “fondatori” e solo ultimamente dai testimoni della parte opposta.

All'inizio Daniela frequentava l'oratorio dove don Pietro, appena ordinato, era stato mandato come cappellano.
In quel periodo vi furono a sant'Angelo diverse fazioni, divisioni, scandali eccetera tanto che anche le autorità decisero di intervenire e per un certo periodo arrivarono a sospendere e allontanare don Pietro dalla parrocchia (che infatti non poteva dire neanche messa a sant'Angelo).
Don Pietro si rifugiò a Caresto, vivendo da solo e cercando di ricostruire l'antico borgo insieme ad alcuni giovani del paese.
Nel 1979 si stabilisce definitivamente a Caresto.
Daniela lo segue a Caresto ma per un lungo periodo vive la sua giornata a Caresto ma torna a dormire la sera dai genitori in paese.
I primi a stabilirsi a Caresto sono una famiglia di Milano di provenienza hippie, ma questi se ne vanno fin troppo presto.
Li segue un'altra famiglia l'A., lui è un medico. Poco dopo si stabilisce definitivamente a Caresto anche Daniela, mentre gli A. spariscono a loro volta dalla storia-Caresto.
Negli anni 1980 una famiglia di Milano propone a caresto l'attività e la metodologia di "Incontro Matrimoniale" e don Piero vi si lancia insieme ad alcune coppie dell'urbinate (coppie un po' "alternative" non troppo soggette alle cure ecclesiali).
Gli incontri del week end di Incontro Matrimoniale cominciano a prendere piede a Caresto che ha una struttura immobiliare che li favorisce ma ben presto le coppie che ne facevano parte vengono allontanate e don Pietro pubblica una serie di libri sulla "spiritualità carestina" usando e copiando spregiudicatamente le dispense usate dal metodo di Incontro Matrimoniale (che non avevano un copyright depositato).
Il filone delle coppie ha un buon mercato e quindi negli anni '90 inizia la vera storia della "comunità" per coppie tanto conosciuta al giorno d'oggi.

La storia di Caresto comunque non è che la storia di don Piero e Daniela. E fin dall’inizio la “comunità” non appariva nient’altro che un espediente per coprire e legittimare la loro relazione.
A chi oggi obietta che non appare credibile l’intento di dissimulare una storia proibita con un’impresa di grande risonanza come quella attuale, rispondiamo che così non era all’inizio. Che lo sviluppo recente è il frutto di meccanismi e avvenimenti imprevedibili all’inizio.
Che Caresto sia il frutto ambiguo e contorto di quella relazione altrettanto contorta e ambigua è confermato dal fatto che il primissimo intento dei due fu proprio quello di ottenere una certa legittimazione alla loro convivenza proprio all’interno della cerchia di persone che approdavano a Caresto. E lo facevano motivando e modulando il carattere della loro convivenza secondo quello degli interlocutori. Andavano dalla franchezza esplicita verso chi poteva simpatizzare se non addirittura condividere la loro “scelta” alla dissimulazione più o meno marcata a seconda delle convinzioni contrarie. Ma accadde anche che i conviventi fossero costretti alla franchezza da chi li colse in flagrante, disapprovò energicamente e se ne andò sbattendo la porta.
Abbiamo conosciuto una coppia che fecero quest’esperienza, tentarono di denunciarla alla Chiesa ma ne rimasero a tal punto segnati che oggi non ne vogliono più sapere di aprir bocca.

Distingueremmo comunque la storia di Caresto in due grandi fasi: prima e dopo il  ’90.

Prima del ’90 la “comunità” ha conosciuto diverse edizioni tutte più o meno ispirate al progressismo sessantottino e postconciliare.
Ma, col senno di poi, ci verrebbe da dire che quel progressismo veniva abilmente strumentalizzato e condiviso solo nei suoi aspetti barricaderi e libertini. Allo stesso modo in cui dal ’90 in poi tornò utile alla “comunità” sventolare la bandiera della moderazione, se non della conservazione.
In questo primo periodo che va dagli anni settanta al ’90 ( anche se ci pare che la comunità divenisse residenziale solo a partire dagli anni ’80 ), le persone che approdavano a Caresto provenivano tanto dalla variegata galassia della gioventù cattolica e non ( giovani scontenti dell’Istituzione e desiderosi di radicalità evangelica, altri più semplicemente alla ricerca di un’esperienza diversa o originale) che dal serbatoio dei bisognosi assistiti dalla Caritas (tossicodipendenti, girovaghi, psicolabili etc..) di cui don Pasquini era il rappresentante diocesano e in funzione della quale provò per un certo tempo a giustificare e promuovere la sua “comunità”.

Le persone venivano circuite nel momento del bisogno o in quello dell’entusiasmo, a seconda degli ambiti di provenienza, invogliate a far parte della comunità e “conservate” finché non si presentava l’opportunità di un avvicendamento migliore. Infatti alle tensioni di una normale comunità qui si aggiungevano quelle di una comunità anomala in cui il prete era già “occupato”. Le relazioni comunitarie che ci si sarebbe attesi normalmente strutturate attorno alla figura del prete andavano qui ridisegnate in funzione di questa “coppia” implicita”, dei suoi meccanismi di dissimulazione e dei suoi interessi. Non dimentichiamo che era proprio la figura del prete diverso, con una comunità diversa, più informale ma allo stesso tempo radicale, con una storia battagliera alle spalle, che attirava a Caresto. Una volta a Caresto però, questa idealizzazione del prete radicale, da battaglia, alla don Milani, svaniva rapidamente e appariva …una coppia! Indefinibile ma realissima, con le sue esigenze e le sue pretese. Il prete disponibile dei primi incontri nascondeva un uomo grigio, freddo, interessato solo alla sua Daniela  e al restauro di Caresto, disorientato tra disobbedienze civili, campagne Amnesty, puntigli antiliturgici e una scrupolosa pragmatica – anzi cinica - attenzione alla politica ecclesiale locale, abilissimo dissimulatore di convinzioni – se mai ne ebbe – fatti e intenzioni.
Don Piero semplicemente non c’era, né come uomo men che meno come prete. Ma viveva di rendita sulla devozione incondizionata che come uomo gli tributava Daniela e sul rispetto e sul prestigio che per inveterata tradizione al prete è dovuto da chiunque all’interno della nostra cultura.
Accanto a lui: Daniela; apparentemente una di noi, per status ed età. Ma la calda accoglienza di cui indubbiamente era capace si smorzava poco alla volta in distanze e vicinanze calcolate  lì per lì inspiegabili, poi sempre più comprensibili. In realtà essa viveva per don Piero soltanto.
Un rapporto controllatissimo che pensiamo la facesse molto soffrire all'inizio. La caricava di tensioni che non potevano non influenzare il suo ruolo. S’intuiva che il suo temperamento e il suo carattere erano stati tutt’altra cosa da come ormai li stava trasformando don Piero. Doveva aver avuto un’umanità ricca e passionale, che ora utilizzava per conoscere e per difendersi dalla concorrenza comunitaria, una lucidità d’intelligenza e una determinazione ideali in una madre di famiglia che qui si mutavano in cinismo calcolatore, insensibile, a volte vendicativo.

Inizialmente la sua confidenza con don Piero veniva spiegata con la sua precedenza a Caresto. Ma un po’ alla volta la loro relazione prendeva forma. Suscitando reazioni differenziate a seconda della prospettiva. I cattolici la sublimavano spiegandola come una grande “amicizia spirituale”, i laici la trovavano perfettamente accettabile…in teoria! Perché in pratica i due avevano dei metodi davvero poco democratici per imporre i loro punti di vista, i loro progetti. Che si spingevano fino a pianificare la vita intima delle persone. Chi non si adeguava veniva tollerato in mancanza di ricambio, rimpiazzato non appena se ne presentava l’opportunità. Ma spesso veniva eliminato anche chi si era adeguato, bastava che “non servisse più” (espressione frequentissima di don Pasquini e a parer nostro assai rivelatrice del suo modo di intendere le relazioni interpersonali ) .
La selezione era così disinvolta che spesso bastava un nuovo arrivo per mettere in moto la macchina dell’espulsione del dissenziente o dell’inutile di turno. Si istituiva prontamente un processo di staliniana memoria opportunamente paludato da democratica riunione comunitaria, spesso per giunta nella cornice di una “confessione comunitaria” o di “esercizi spirituali” che oggi ci paiono solo una farsa indegna perfino di quest’ultima qualifica.
In questo ventennio si sono avvicendate tante edizioni che risulta difficile perfino tenerne il conto.

Molti di noi ricordano a mo' d’esempio il caso di W.: era una giovane con gravi problemi di schizofrenia e con un divorzio alle spalle, fu convinta a pronunciare delle promesse di povertà, obbedienza e castità e a versare di conseguenza alla comunità l’ingente importo (60 o 70 Milioni di lire: a metà degli anni ottanta erano soldini!) degli arretrati della sua pensione di invalidità testé riconosciutagli. Nel volger di poco tempo fu congedata dalla “comunità” naturalmente alleggerita del sostanzioso gruzzolo.

La seconda fase inizia nei primi anni 90. Quando la “comunità” può finalmente permettersi di far a meno della …comunità! Cioè della vita comune. Come può avvenire ciò?
Da una parte dopo vent’anni di tenace, dosata esposizione locale, la “coppia” s’è finalmente imposta alla chiesa locale, almeno a quella ufficiale (complice la santa ingenuità di un vescovo la cui santità all’epoca veniva evocata come ironico sinonimo della sua sprovvedutezza ma che ora pare diventare materia di una causa di canonizzazione) guadagnando prestigio e credibilità.
Dall’altra lo scarsissimo impegno comunitario comportato dal “turismo religioso” attirato a Caresto da una efficace campagna promozionale (Caresto diventa ora la meta di ospiti occasionali o periodici che non vi si fermano che per pochi giorni: il fine settimana o raramente l’intera settimana) permette ai due di avvicinarsi parecchio all’agognata quadratura del cerchio: l’immagine comunitaria può venir garantita in quel periodo a don Piero e Daniela dalla sola Ornella, allora unica superstite degli avvicendamenti, prima di essere debitamente allontanata anch'essa.. Ornella è una persona emblematica e evanescente nel ricordo di quel periodo, che si riusciva ad avvicinare raramente.

Come accennato sopra in questa seconda fase l’orientamento ideologico di Caresto si sposta decisamente verso un opportunismo calcolato ma evidente, a volta perfino ridicolo: don Piero arriva a pubblicare sul giornale diocesano articoli di aperta dissociazione da realtà familiari e associative locali “alternative” che aveva corteggiato e spesso ospitato a Caresto per almeno un decennio. Ora tutti i bisognosi che per abitudine si dirigono a Caresto, vengono allontanati in malo modo. Non si perde occasione per ribadire che ora a Caresto ci va “gente normale”, “gente perbene”. Si vuol far a tutti i costi rimuovere il ricordo di Caresto ricovero “di sbandati”.
Perché questa vergogna del proprio passato? Di un servizio che, svolto con spirito evangelico, avrebbe dovuto semmai inorgoglire?
Non è questo un contrappasso rivelatore non solo delle vere intenzioni con cui veniva svolto quel servizio, ma anche della cattiva coscienza di chi lo svolgeva? Intendo dire: non solo don Piero e Daniela in realtà s’erano serviti di coloro che dicevano di servire (e in realtà erano gli altri ospiti a svolgere queste mansioni di servizio ai disagiati), ma erano loro stessi a sentirsi degli “sbandati” e probabilmente lo erano e … lo sono ancora, oggi più che mai, nonostante il felice decennio di successo e di idillio istituzionale. Allora comunque, ottenuto finalmente con tanta fatica e ostinazione uno status ufficiale importante nella diocesi, dovevano per forza tener lontani i parenti poveri d’un tempo, possibilmente cancellarne perfino il ricordo.

Appartiene a questa seconda fase la specializzazione “familiare” di Caresto. La cui genesi meriterebbe un’attenzione particolare. Secondo noi essa venne a salvare Caresto dalla nevrotica apatia di quei tempi e, forse, dallo sfascio inevitabile. Infatti nel 90-91 dopo tante edizioni fantoccio la comunità sembrava pervenuta ad un punto morto. Il trio don Piero, Daniela e Ornella dava sempre più a chi li frequentava/conosceva bene l’impressione di un sodalizio cementato ormai soltanto da complicità inespresse ma certamente frustranti fino alla nevrosi.

 Diciamo questo perché ancor oggi in paese c’è chi idealizza la relazione di don Piero e Daniela come si trattasse di una tenera e appassionata storia d’amore degna almeno del rispetto dovuto ai sentimenti sinceri e agli amori impossibili e legittima la loro unione quasi si trattasse di novelli Dante e Betarice.  Nessuno immagina l’enorme prezzo umano pagato dagli sfortunati che portavano il peso delle loro complicità e delle loro ambizioni. Nessuno immagina come la stessa Daniela sia la prima vittima di don Piero e come lo siano ora le coppie che fungono da corollario alla "comunità" e che non sanno come uscirne. La realtà, la triste realtà è che don Piero è un uomo sostanzialmente infedele, come prete e come amante. Oggi questa è una realtà assolutamente evidente e abbondantemente provata, e credo permetta di rileggere e decifrare la storia di questi quindici anni come una grande saga dell’infedeltà.
 Nel ‘90 Daniela appariva fortemente disorientata e alla ricerca di un’identità nuova . Viaggiava molto, in lungo e in largo, con una frenesia e un’insoddisfazione sospette e spesso da lei stessa ammesse anzi direi quasi esibite con argomentazioni autogiustificatorie che parevano voler stornare da quelle reali. In realtà il suo pareva il comportamento tipico della donna delusa e abbandonata. Don Piero e Daniela insomma, apparivano obbligati a Caresto più da inespresse complicità che da un amore vero. Ancor meno dagli ideali religiosi professati: un occhio poco più che avvezzo notava presto la più totale assenza di una vera vita spirituale a Caresto. La stessa preghiera (comune ) era ridotta ad una comparsata scadente da sceneggiare alla meno peggio agli ospiti del momento, ma che si accantonava senza alcun imbarazzo non appena questi partivano.

Fu l’istinto commerciale (o imprenditoriale) di don Pasquini che intervenne a fornire la chiave di volta alla situazione…
Cominciò coll’organizzare incontri tra i movimenti familiari cattolici e a reclamizzarli opportunamente, continuò col reclutare gli organizzatori - e la clientela! - di “Incontro matrimoniale”, col frodare i loro metodi a tal punto da pubblicare i libri di Caresto usando delle dispense di Incontro Matrimoniale che non avevano all'epoca il copyright. Tutto questo, coordinato da un’ abile campagna promozionale sulle più importanti testate cattoliche, produsse un po’ alla volta quel “miracolo economico” che a molti pare anche spirituale. La disorientata Daniela ridivenne in breve la sicura “co-fondatrice”d’un tempo, si riciclò e autopromosse a maestra dello spirito, esperta consulente matrimoniale…
Ne guadagnò perfino in fascino esteriore: smessa la sciatteria pseudo-francescana d’un tempo, sfoderò un insospettato e raffinato gusto per l’abbigliamento (naturalmente firmato) e per i gioielli. Cosa che fa tuttora chiacchierare le “male lingue” locali ma che pare sedurre e affascinare oltremodo/non turbare affatto i turisti dello spirito di mezza Italia.

Con l’uscita di Ornella, don Piero e Daniela poterono finalmente coronare il sogno di una comunità senza vita comunitaria. Giacché le due famiglie esibite come comunità, a Caresto nemmeno dormono – abitano infatti in paese e ai “Palazzi”- ma solo intervengono nelle comparsate dei Week-end ai turisti.
 Ecco spiegato l’arcano del successo “carestino”.

Con in più una postilla. Sui clienti tipo di Caresto. Su quei turisti (e ci sforziamo di dar al termine un’accezione puramente tecnica) dello spirito che conosciamo abbastanza bene.
Tutta brava gente – intendiamoci - stanca del trantran quotidiano tra l’azienda, la parrocchia ( parrocchie che non sono poi così male come l’abitudine fa loro sembrare) le scuole dei figli, l’asfalto, il cemento, l’afa d’estate, la nebbia d’inverno eccetera eccetera. Tutta questa brava gente arriva predisposta dai propri bisogni e dalla propria formazione religiosa a farsi suggestionare dal positivo che c’è ( un invidiabile ambiente bucolico, paesaggio agreste con chiesetta rustica, pane integrale dal forno a legna, eccetera,) e soprattutto da quel che non c’è, che si vorrebbe tanto trovare, che viene accuratamente imbandito per la loro voracità senza gusto: una frugalità falsa e..costosa ,una falsa convivialità e un’accoglienza interessata, soprattutto una falsa comunità, inesistente (suvvia: ma a chi verrebbe in mente di sospettarlo?), una falsa sintonìa con la parrocchia locale  presentata addirittura a modello per le parrocchie d’origine (ma il confronto tra le parrocchie dei clienti veneti di Caresto e quella di Sant'Angelo andrebbe certamente rovesciato).
Quante volte sentivamo da dietro la gente che magnificava la bellezza del clima di quei colli, la suggestione di quelle piazze medievali…come se fossero opera di don Piero e Daniela! Che magari avevan visto solo di sfuggita, come di sfuggita avevano visto quelle due famiglie, e li avevan sentiti sciorinare tutte quelle ovvietà sul matrimonio, l’amore, il dialogo, il perdono, che dette dal loro parroco fan scendere la noia fino ai calcagni, ma dette lì, sugli ameni colli preappenninici da gente che ti racconta che non guarda la TV (e mente) che vive in comunità (e mente) che è il faro e il lievito della parrocchia (e ciò è verissimo ma riguardo a valori assolutamente non cristiani) che è povera e vive di provvidenza (ed è falso perché gli uditori non lo sanno ma perfino le loro buste delle offerte sono segretamente contrassegnate per poterne poi riconoscere l‘entità e quindi “selezionarli” proprio in funzione del loro “contributo”)…tutto ciò detto qui e da costoro ricrea la magia del monte delle beatitudini! E chi ha il coraggio di sciogliere un tale incanto? E dove trovare gli argomenti per far ragionare chi ha già “deciso”? Dove, soprattutto, trovare la forza e la faccia per resistere alla taccia di sacrilego, calunniatore, diavolo profanatore di un sogno così ben sognato? Come chiarire il madornale equivoco in cui sono caduti?
Loro, i turisti dello spirito, non lo sanno, ma sono loro con le loro idealizzazioni che fanno e sostengono Caresto, non il contrario.

Don Piero da buon commerciante ha intuito il bisogno e ha esposto un prodotto contraffatto, adatto appunto ai turisti, che sta al contenuto vero come le gondolette-suovenir veneziane stanno ai vaporetti…e ai mosaici di S.Marco.
E’ così che Daniela ha potuto riemergere dalle sue frustrazioni attraverso il prestigio di un ruolo finalmente appagante le sue ambizioni e compensante le sue frustrazioni. Similmente le due famiglie hanno gratificazioni di prestigio e convenienze economiche non indifferenti.
 

Ciò che stupisce nell'analisi della storia di Caresto è proprio la totale assenza di una continuità. Non c'è nessuno, a parte loro due, che sia presente dall'inizio ad oggi, ma non solo: nessuno che faccia parte della memoria storica. Una realtà può evolvere e può avere in tempi doversi persone diverse che vi si avvicinano, ma quando le cose sono normali, nelle famiglie, nella storia delle nazioni, c'è la lettura della storia in cui si rintracciano i fili conduttori, gli aspetti che proprio perché sono cambiati che spiegano la continuità.
Caresto un ogni sua edizione pare aver cominciato sempre da capo, come fosse un fungo in una landa deserta; il misconoscimento di chi è venuto prima e l'assenza del ricordo di chi in qualche modo ha lasciato il suo contributo, il segno del suo passaggio.
Tutti coloro che sono stati a Caresto, per qualche mese, un anno, qualche anno, se ne sono andati in seguito ad una rottura. Non abbiamo il ricordo di una sola persona che se n'è sia andata in pace. Tutti quindi sono stati automaticamente "resettati" dalla memoria di Caresto, non si parla mai di chi è venuto prima, persone da cancellare, non si potevano nemmeno nominare.