Caresto - La coppia

 
    Ci pare estremamente riduttivo e anche un po' ridicolo circoscrivere, o comunque vincolare lo scandalo di d.Piero e Daniela all'aspetto sessuale.
Non che questo non conti ma un'eventuale prova della loro "trasgressione" in tal senso a che servirebbe? Non direbbe comunque tutta la gravità della loro posizione!
    Innanzitutto una prova in tal senso sarebbe sempre contestabile. E poi proverebbe una trasgressione, non una relazione abituale! Per provare questa come si fa?
    Che cos'è più dannoso al celibato sacerdotale: una caduta grave - episodica o frequente - ma comunque clandestina? Oppure una stabile trentennale convivenza? Convivenza "more uxorio" a tutti gli effetti: rapporto privilegiato ed esclusiva cura reciproca, comuni e coincidenti interessi lavorativì ed economici (sia pur 'missionariamente paludati), evidente intesa affettiva col solo dubbio delle camere da letto... che però, guarda caso, sono attigue e in una zona rigorosamente interdetta ad occhi estranei!
    Se nel primo caso, pur tradito, il valore del celibato viene implicitamente ammesso (altrimenti non si ricorrerebbe alla clandestinità), nel secondo caso il valore del celibato viene pubblicamente smentito da una manifesta convivenza la cui ambiguità autorizza poche giustificazioni (vedi la copertura "comunitaria" instancabilmente perseguita dai due) e tutti i sospetti.
    A Sant'Angelo per trent'anni hanno avuto libero corso ambedue: tanto le giustificazioni che i sospetti. Se le giustificazioni sono riuscite ad imporsi sui sospetti crediamo dipenda esclusivamente dal fatto che le giustificazioni tornavano più utili alla gente di chiesa mentre i sospetti restavano appannaggio degli estranei e degli indifferenti.
    Un prete convivente (o "sposato" com'egli stesso ambiguamente si definisce) è una gran brutta gatta da pelare per una comunità ecclesiale! Sospetto atroce che si preferisce stornare, tanto scandaloso risulta per la nostra mentalità religiosa e anche per il nostro costume sociale. Ammetterlo o anche solo indagarlo comporta verifiche umane ed ecclesiali costose, delle rimesse in discussione e dei coinvolgimenti rischiosi. Meglio evitarli. Meglio soprassedere, "giustificare" appunto, più conveniente per tutti... li per li!

    D.Piero e Daniela, da parte loro, conoscono benissimo i meccanismi conseguenti questa mentalità ecclesiale e li hanno sfruttati abilmente. Dopo il fallimento dei primi tentativi di ottenere consenso alla loro unione all'interno dei pochi intimi dei tempi pionieristici, hanno ripiegato su un più pragmatico adattamento alla mentalità corrente cavalcando le "giustificazioni" e stornando i sospetti. Hanno presto capito che le "giustificazioni" erano lì a portata di mano: bastava non urtare eccessivamente il senso comune (ecco la "comunità"). Con le debite cautele i sospetti non potevano mai sorpassare la soglia della chiacchiera leggera, della mormorazione scontata, del cicaleccio morboso... in una parola si squalificavano da soli!
    Con questa strategia prudente e ostinata insieme, la loro convivenza si è automaticamente legittimata attraverso le vane edizioni comunitarie, il sostanziale disinteresse della Curia, l'inevitabile approvazione che scaturisce dalla consuetudine, e, soprattutto negli ultimi dieci anni, il successo di Caresto. Di qui quell'autentica mostruosità che è divenuta Caresto: una sedicente "comunità religiosa", anzi eremo uome si è voluto chiamare ancor più ambiguamente, in cui si evadevano sistematicamente tutte le più elementari esigenze comunitarie e religiose a partire dalla sincerità e dalla parità delle relazioni per arrivare alla totale assenza di preghiera e di cura spirituale.

    Anche l'impossibilità di approdare ad un'effettiva vita comunitaria con altre persone era evidente e andava "giustificata" anche da d.Piero e Daniela! Come? «noi non siamo una comunità, a noi la comunità non interessa, non abbiamo tempo per le attenzioni reciproche... » e via di questo passo.

    Tutta la verità ce la fece notare un amico sposato.
    Le sue testuali parole: «Caratteristico del matrimonio è che il gesto d'amore più intimo richiede un pubblico riconoscimento: io amo lei e lei ama me! Questo protegge dalle ambiguità e dalle doppiezze tipiche degli amanti. D.Piero e Daniela si sono autocondannati a nascondere il loro amore, di qui quella riservatezza impenetrabile propria degli amanti che gli sposi non hanno, perché non devono nascondere di essere insieme. Loro due invece si! E di qui, contemporaneamente, quello schizofrenico ma opportunistico ricerca o bisogno di apparire di far comunità con altri!... Quand'anche non fossero più amanti, saranno sempre dei complici: una tortuosa e torbida storia comune li obbliga a questo e sporca e divora tutto ciò che toccano!»