Samir Amin: «Contro il governo clandestino del pianeta»

Sara Fornabaio

Liberazione 28 novembre 1999

Parla il grande studioso della mondializzazione a ridosso del vertice di Seattle. L'egemonia Usa e il liberismo. La subalternità dell'Europa. Gli embrioni di una alternativa.

Samir Amin è stato uno degli ospiti del: primo incontro italiane del Forum Mondiale delle Alternative, organizzato da Punto Rosso e da Mani Tese a Milano dal 19 al 21 novembre 1999. Una occasione sentire la sua opinione sul panorama internazionale, sulle caratteristiche mafiose di questa liberalizzazione e sulle nuove forme di organizzazione dell'alternativa.

Come descriveresti lo scenario attuale?

Da alcuni anni ci traviamo a confrontarci con un progetto di organizzazione mondiale della società e delle relazioni internazionali. Un progetto di liberismo economico, di «neoclassicismo» più o meno mondializzato, che si vuole valida per tutti i popoli, in ogni condizione, e che viene presentata come l'espressione della razionalità pura, trans-storica dell'economia. Su un altro piano vediamo svilupparsi gli obiettivi strategici perseguiti dalla potenza dominante indiscussa, gli Usa: per cui possiamo parlare di un progetto egemonico americano. Spesso non è evidente - purtroppo neanche a sinistra - il collegamento tra questi diversi progetti, quello della mondializzazione liberista economica e quello egemonico americano. Io credo che siano intimamente legati: non è possibile un progetto di liberismo economico mondializzato senza l'egemonia americana, né questa si può affermare se la gente non accetta il liberismo economico. E non sono io a dirlo, ma Henry Kissinger, che qualche settimana fa ha dichiarato che «la mondializzazione è solo un altro termine per indicare il dominio degli Stati Uniti». Credo che vada ringraziato per la franchezza e la correttezza dell'analisi. Dunque, c’è la gestione economica del sistema attraverso il neoliberismo, cioè la cosiddetta deregulation dei mercati. Osservo che lo stesso termine deregulation è improprio, non esiste mercato deregolamentato; semmai il problema è chi lo regola, in che modo e al servizio di quali interessi sociali. Si possono concepire due tipi di regolazione del mercato: quella prodotta da un compromesso, sia esso sociale, cioè prodotto da interessi di classe che si riconoscono reciprocamente come differenti, oppure politico, cioè indotto da un accordo tra Stati a un livello diverso di sviluppo economico. Questa è una regolamentazione almeno potenzialmente democratica, perché è trasparente. E poi c'è l'altro tipo, quella concepita in modo completamente unilaterale dal capitale - nel caso specifico da quello dominante nel nostro tempo, cioè le transnazionali. è una regolazione che può essere solo clandestina, e quindi inconfessabile ed è il motivo per cui viene chiamata deregulation; non dobbiamo accettare questo termine, dobbiamo dire deregulation, cioè la regulation unilaterale e clandestina. E il Wto, come ha ben spiegato Susan George, è la cristallizzazione del concetto di governo della dimensione economica sulla base di questo principio. Un principio completamente antidemocratico, un'idea mafiosa di gestione economica. La mafia è un'organizzazione molto ben strutturata, con pene molto severe per chiunque infranga le regole. Ma non è democratica e le regole non vengono discusse in pubblico.

Tutto questo sembra particolarmente vero nel caso delle sanzioni economiche e degli embarghi...

Esattamente. Sono come le sanzioni mafiose. è questa, dunque, la visione del governo economico mondiale, detta del liberismo mondializzato. Ma l'economia non può funzionare da sola se non ci sono sistemi politici per sostenerla e se non c'è una forza militare per imporre le sanzioni, per piegare i popoli che in qualche modo si ribellano contro questo sistema. Abbiamo visto all'opera, nel corso degli ultimi dieci anni, la concezione di questo governo politico mondiale: è la Nato, un'alleanza militare, non un governo politico eletto.

C'è una relazione diretta tra l'incidente all'ambasciata cinese durante la guerra e le successive negoziazioni per ingresso al Wto?

Certo, e si è visto un primo round, quello della guerra del Golfo, decisa dalla Nato, cioè dagli Usa.

E gli inglesi?

Gli inglesi non esistono, gli inglesi... basta che gli Usa decidano qualche cosa perché essi siano alleati incondizionati. E lo riconoscono. Ma anche i paesi dell'Unione europea lo sono, individualmente e collettivamente.

Quindi tu dici che l'Europa è stata totalmente subalterna nei confronti degli Stati Uniti? Non ha un suo ruolo autonomo?

No, nel quadro della Nato non può averlo. La concezione stessa dell'alleanza atlantica poggia sullo strumento principale dell'egemonia americana, che è la superiorità militare. E nella misura in cui gli europei accettano il principio, accettano il governo del mondo da parte degli Stati Uniti, accettano l'egemonia americana. E lo si è visto durante la guerra nei Balcani, in modo ancora più eclatante che nella guerra del Golfo: perché la guerra nei Balcani è stata notoriamente decisa dagli Stati Uniti, rovesciando la tavola negli incontri di Rambouillet, cioè imponendo una situazione nella quale non c'erano alternative al bombardamento della Serbia. Loro lo hanno imposto unilateralmente, gli europei li hanno seguiti.

Lo hanno ulteriormente dimostrato subito dopo la "vittoria", cioè dopo aver stabilito ciò che è ora diventato in tutta evidenza il protettorato americano del Kosovo, così come ci sono un protettorato americano in Bosnia e un protettorato americano in Kuwait.

Tu credi che quest'esigenza sia legata più a una questione di controllo economico o di controllo politico?

è una questione di controllo politico, che non riguarda ovviamente la piccola regione del Kosovo. D'altronde è apparso chiaro subito dopo la guerra del Kosovo, quando gli Usa hanno imposto - e gli europei accettato - l'allargamento delle responsabilità della Nato dandosi il potere di intervenire praticamente ovunque in Asia e in Africa. In Europa non se ne parla: non ho visto nei giornali europei, neanche di sinistra, commenti accettabili su questa decisione estremamente grave presa dalla Nato. E questo principio, che nell'establishment e nella stampa americani ha degli echi molto forti, ha obiettivi strategici chiarissimi: è il Caucaso, l'Asia centrale e il Medio Oriente. Cioè la grande regione, insieme, del petrolio e dello smantellamento - dopo l'Unione Sovietica - della Russia. Brezinski dice con chiarezza che bisogna spaccare la Russia in tre stati. è il piano rivelato con altrettanta chiarezza di far implodere la Cina: da qui le campagne per il Tibet, il Sinkiang, e così via.

Si tratta, alla fin fine, di rendere l'Europa vassalla - azzardo questo termine - cioè di proibire agli europei di concepire una politica autonoma, al di fuori dell'orbita della decisione unilaterale americana. Secondo, di completare lo smantellamento della Russia e della Cina, anche se purtroppo i regimi e i poteri in campo, soprattutto in Russia, contribuiscono oggettivamente ad aiutare questi piani (penso alla guerra in Cecenia). Terzo, di assicurarsi il dominio esclusivo della regione petrolifera del Medio Oriente, tramite il sostegno assoluto all’espansionismo israeliano.

E la Turchia?

Turchia ed Israele sono alleati incondizionati ed importanti del progetto Usa - e di questi due paesi bisogna ricordarsi quando parliamo di politiche di pulizia etnica sistematica. Poi ci sono le piccole guerre locali, come in Africa centrale. Anche qui è all'opera una pratica del governo mondiale che non ha niente a che vedere con la democrazia. Si può rimproverare tutto quel che si vuole alle Nazioni Unite (è vero che spesso si sono dimostrate impotenti), ma i principi dell'Onu almeno sono democratici e trasparenti; ci sono discussioni, c'è un'Assemblea generale, un Consiglio di Sicurezza. Tutto ciò scompare: la gestione politica del mando retrocede a beneficio di una gestione unilaterale clandestina della Nato. è il ritorno al Congresso di Vienna del 1815 e all'Europa dell'epoca.

Tu credi che la guerra delle banane sia parte di tutto questo?

Evidentemente. E in queste condizioni gli europei, accettando la mondializzazione economica, accettano fino in fondo l'egemonia americana tramite la Nato, in funzione di semplici associati.

Come aggiorneresti, alla luce degli sviluppi politici ed economici attuali, una proposta alternativa sulla relazione tra commercio e sviluppo? Come si può pensare un progetto che riporti la sovranità della politica sull'economia e che contribuisca a stabilire dei meccanismi più equi per tutti?

è evidente, intanto, che il principio è quello di una regolazione del mercato la più trasparente possibile e quindi potenzialmente la più democratica possibile, per aprire una strada al miglioramento dei rapporti sociali in favore delle classi lavoratrici e dei popoli. In grado, cioè, di costringere il capitale ad adattarsi alle domande che provengono da logiche diverse dalla ricerca del profitto. è il contrario dell'adattamento attuale. E comincia a livello nazionale, perché la politica continuerà ad essere guidata dalle lotte a livello nazionale (gli stati ci sono e continueranno ad esserci).

A questo livello deve svilupparsi il concetto di regolazione del mercato. Ma anche a livello mondiale perché la mondializzazione - che non è cosa nuova - da un periodo storico all'altro si approfondisce. Come diceva Susan George, ci sono degli embrioni di principi di gestione politica mondiale democratica: il principio dei diritti dell'uomo, per esempio, e ora si può aggiungere il principio dei diritti sociali, cioè il diritto al lavoro, il diritto a un trattamento corretto dei lavoratori, il diritto all'educazione, alla sanità, e così via. Quindi diritti politici, democratici, di libertà di espressione e organizzazione, di protezione dell'ambiente. Bisogna dare a questi embrioni di nuovo diritto internazionale la priorità sui diritti della cosiddetta deregulation del mercato e del commercio internazionale.

Però da un punto di vista dei soggetti che possono far sviluppare questi embrioni, cosa pensi di quella che viene chiamata "società civile"? Perché non si parla più di classi, ma di un concetto così vago, complesso e contraddittorio?

Quando si parla di società civile, in realtà ci si riferisce ad un soggetto molto confuso: ed è il sintomo di una crisi ideologica e teorica, perché non si sa esattamente quali sono i soggetti sociali, i soggetti storici attivi. Allora si parla della società civile, che vuol dire tutto e niente. Ma bisogna porsi la domanda su che cosa è permanente nel capitalismo e che cosa è variabile da un momento all'altro della sua storia. Quel che è permanente, secondo me è il capitale espresso dagli individui, come lavoratori: ciò che non significa che la struttura di classe del capitalismo sia rimasta e rimanga la stessa nei secoli. Il capitalismo è passato attraverso tre momenti storici successivi, che si possono facilmente individuare: rivoluzione industriale, scientifica e tecnologica. La prima rivoluzione industriale (fine 18° - inizio 19° secolo) è simbolizzata dall'industria del tessile, del carbone e dell'acciaio; la seconda (fine 19° secolo - inizio 20°) è caratterizzata dall'elettricità, dal petrolio, dall'automobile e l'aereo; ed ora abbiamo una terza rivoluzione, tecnologica incarnata dall'informatica e dall'elettronica. Ognuna di queste rivoluzioni ha determinato forme diverse di organizzazione del lavoro sfruttato dal capitale, e forme di resistenza delle classi sfruttate. Nel 19° secolo avevamo un modello di classe operaia ancora molto vicina all'artigianato con un know-how autoctono; poi abbiamo avuto la fase della taylorizzazione, quella che Charlie Chaplin ha così ben reso in caricatura in Tempi moderni. E ora abbiamo una terza forma di organizzazione del lavoro. Ad ogni forma di resistenza, corrisponde in ogni momento storico una forma di organizzazione, e di azione, che ne aumenta l'efficacia. Nella fase precedente, per esempio, gli attori principali sono stati i partiti, fossero essi socialdemocratici, socialisti o comunisti; forme sindacali, forme di lotta, lo sciopero, le manifestazioni, le elezioni. Forme che hanno espresso soggetti riconoscibili, come il proletariato, i contadini, la sinistra elettorale, che sentivano di essere una classe. Le nuove strutture non appaiono spontaneamente, miracolosamente, dalla sera alla mattina. Tra i periodi che io chiamo d'accumulazione, che riproducono il sistema di classe e quindi anche i soggetti, ci sono momenti di caos, dove il vecchio scompare gradualmente, e il nuovo lentamente si forma. Sono momenti di sconcerto ideologico, anche perché i nuovi soggetti non appaiono chiaramente. Oggi siamo in uno di questi momenti: appaiono movimenti sociali, al plurale, con proposte a volte concrete, a volte solo difensive (ad esempio difendendo la scuola pubblica e gratuita o invece la previdenza sociale), a volte propongono una nuova organizzazione della trattativa collettiva, o altro. Questi movimenti sono attualmente molto frammentati, ma miglioreranno la loro capacità organizzativa. Quando si parla di "società civile", si dà per scontato che i partiti non ne facciano parte - anzi la società civile si caratterizza "a contrario", per una non appartenenza partitica. Perché i partiti politici hanno perduto la propria efficacia, e il linguaggio politico lo riflette: si parla di alternanza, che è cosa ben diversa dall'alternativa. L'alternanza significa cambiare le figure di governo per fare le stesse cose. La democrazia diventa quella che io chiamo democrazia a bassa intensità: si può votare, liberamente, bianco, rosa, rosso, verde, giallo, ma comunque il governo si dichiara impotente ed è il mercato che decide. Ma questa è una delegittimazione della democrazia, di tutti i partiti politici, di destra o di sinistra, che infatti vivono tutti una fase critica.

Che cosa pensi del movimento di protesta di Seattle?

è un momento importante. La presa di coscienza di organizzazioni estremamente diverse e sparse ai quattro angoli del mondo, rappresentanti forze diverse, è la sfida al governo economico clandestino del mondo. Ma l'azione dov'essere principalmente nazionale: un problema per gli europei, cioè come sviluppare il progetto europeo, dargli un contenuto sociale e politico, di solidarietà. è il contrario della terza via: Blair e Schroeder, insieme a D'Alema, sono il peggio che si possa immaginare. Rappresentano la rinuncia a centocinquanta anni della propria storia. è la capitolazione totale: non c'è più nessuna distinzione tra la destra rispettabile (non quella fascista) e questa sedicente sinistra. Da questo punto di vista, Kohl era sicuramente meglio di Schroeder. Gli americani dicono che "il XXI secolo sarà il secolo americano". Io direi che il XXI secolo sarà il secolo della lotta contro questo progetto.







questo articolo è tratto da un elenco di documenti riguardanti i "neoconservatori" o "neocon" americani presenti sul sito di Fisica/Mente. Non rispecchia quindi necessariamente l'opinione del curatore del sito Kelebek. Fare clic qui per la pagina principale di questa parte del sito, dedicata ai neoconservatori.




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