Le guerre in Iraq
 



di Chalmers Johnson



'Dalla prospettiva delle analisi di mercato, non si presentano nuovi prodotti ad agosto' ha affermato Andrew H. Card Jr., il Capo di Gabinetto della Casa Bianca, a proposito del lancio questa settimana della campagna per la guerra con l'Iraq",  New York Times, 7 settembre 2002

 

"Dopo tutto, questo è il tizio [Saddam Hussein] che ha cercato di far fuori mio padre". - Il presidente George W. Bush, Houston, 26 settembre 2002

Nelle ore immediatamente successive agli attacchi dell'11 settembre 2001 al World Trade Center e al Pentagono, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld richiese la stesura di un piano per un attacco americano all'Iraq. Il giorno seguente, in una riunione di gabinetto alla Casa Bianca, Rumsfeld insistette ancora sulla necessità di fare dell'Iraq "un obiettivo principale della prima ondata della guerra contro il terrorismo" (1). Si presume che il presidente abbia risposto dicendo che "occorre preparare l'opinione pubblica prima di poter procedere contro l'Iraq", scegliendo invece l'Afganistan, un obiettivo molto più facile.

Queste dichiarazioni e le occasioni in cui sono state pronunciate sono degne di nota poiché all'epoca gli Stati Uniti non avevano ancora stabilito che gli attentatori suicidi facessero parte della rete di Al Qaeda di Osama bin Laden e non è mai stata pubblicata nessuna prova che dimostrasse che Al Qaeda avesse contatti con l'Iraq. In realtà, l'edizione 2001 della relazione annuale del Dipartimento di Stato americano dal titolo "Patterns of Global Terrorism" (Schemi di terrorismo globale - N.d.T.) non riporta nessuna azione di terrorismo globale collegata al governo dell'Iraq. Ma, fu solo il 22 settembre 2001 che il Segretario di Stato Colin Powell promise di rilasciare alla stampa informazioni che provassero che Al Qaeda e Osama bin Laden fossero colpevoli di aver pianificato ed eseguito gli attacchi a New York e Washington e che il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice dichiarò alla CNN, "Chiaramente siamo in possesso di prove, storiche e di altro tipo, sulla connessione della rete di Al Qaeda agli avvenimenti dell'11 settembre". Tuttavia, queste prove non sono mai state rese pubbliche. Fino al momento in cui la lista dei passeggeri non rivelò che la maggior parte dei dirottatori aerei proveniva dall'Arabia Saudita, io stesso pensai che si trattasse di un contraccolpo delle politiche americane praticate in uno dei tanti paesi del mondo. Quindi, l'iniziale designazione dell'Iraq come obiettivo da parte di Rumsfeld implica che l'Amministrazione Bush aveva un piano segreto tra le mani.

Sin dalla prima guerra americana contro l'Iraq, la Guerra del Golfo del 1991, coloro che, alla Casa Bianca e al Pentagono, la pianificarono e l'attuarono hanno desiderato ritornarvi per terminare ciò che avevano iniziato. Avevano espresso questo desiderio in relazioni scritte per l'allora Segretario alla Difesa Cheney durante l'ultimo anno dell'Amministrazione di George H.W. Bush. E durante il periodo in cui non ricoprirono cariche di potere, dal 1992 al 2000, redassero piani che descrivevano i loro progetti nel caso in cui i Repubblicani avessero riconquistato la Casa Bianca. Nella primavera del 1997, alcuni di loro fondarono il Project for the New American Century (PNAC), il Progetto per un nuovo secolo americano, e cominciarono a fare pressioni per un cambiamento di regime in Iraq.

In una lettera al presidente Clinton datata 26 gennaio 1998 richiesero "la destituzione del regime di Saddam Hussein", e in una lettera datata 29 maggio 1998, si lamentarono con il presidente della Camera dei Rappresentanti Newt Gingrich e con il Senatore Trent Lott che Clinton non li aveva presi in considerazione, reiterando al contempo il consiglio di rovesciare Saddam Hussein. E aggiunsero "Dobbiamo stabilire e mantenere una forte presenza militare statunitense nella regione, essere pronti ad usare questa forza per proteggere i nostri interessi vitali nel Golfo Persico e, se necessario, appoggiare la destituzione di Saddam". Queste lettere portavano la firma di Donald Rumsfeld; William Kristol, direttore della rivista di destra Weekly Standard e presidente del PNAC; Elliott Abrams, il cospiratore colpevole dell'affare Iran-Contra che nel 2002 Bush nominò direttore della politica del Medio Oriente del Consiglio di Sicurezza Nazionale; Paul Wolfowitz, attuale vice di Rumsfeld al Pentagono; John Bolton, attuale sottosegretario di stato per il controllo delle armi e la sicurezza internazionale; Richard Perle, attuale presidente del Defense Science Board; William J. Bennett, Segretario all'Istruzione del presidente Reagan; Richard Armitage, attuale vice di Colin Powell al Dipartimento di Stato; Zalmay Khalilzad, ex consulente della UNOCAL e ambasciatore di Bush in Afganistan; e molti altri importanti militaristi americani. Oltre ai firmatari delle lettere, vi sono anche i fondatori del PNAC, tra i tanti Dick Cheney; I. Lewis Libby, attuale capo dello staff di Cheney; e Stephen Cambone, burocrate del Pentagono in entrambe le amministrazioni Bush. Le loro idee sono state rapidamente diffuse grazie ad un rapporto datato settembre 2000 intitolato "Rebuilding America's Defenses: Strategy, Forces, and Resources for a New Century" (Ricostruire le difese dell'America: strategie, forze e risorse per il nuovo secolo - N.d.T.) e da un libro curato da Robert Kagan e William Kristol, Present Dangers: Crisis and Opportunity in American Foreign and Defense Policy (Pericoli odierni: crisi e opportunità nella politica estera e di difesa americana - N.d.T.). (2)

Dopo che George W. Bush diventò presidente, molti di questi uomini ritornarono a ricoprire posizioni di potere nell'ambito della politica estera americana. Per nove mesi, erano rimasti in agguato. Stavano aspettando, per dirla con le parole del documento del PNAC "Rebuilding America's Defenses", un "evento catastrofico e catalizzante, una nuova Pearl Harbor" che avrebbe mobilitato l'opinione pubblica e avrebbe consentito loro di mettere in pratica le loro teorie e i loro piani. L'11 settembre era quello che ci voleva. Condoleezza Rice riunì i membri del Consiglio di Sicurezza Nazionale e chiese loro di "pensare al 'modo di trarre vantaggio da queste opportunità' per cambiare alla base la dottrina americana e l'aspetto del mondo sulla scia degli avvenimenti dell'11 settembre". Disse "Penso davvero che questo periodo sia analogo a quello tra il 1945 e il 1947, quando la paura e la paranoia portarono gli Stati Uniti alla Guerra Fredda con l'Unione Sovietica. (3)

Tuttavia, l'Amministrazione Bush non poteva semplicemente entrare in guerra con l'Iraq senza presentare alcun collegamento con gli attacchi dell'11 settembre. Quindi, all'inizio si imbarcò in una facile guerra con l'Afganistan. Vi era per lo meno una connessione visibile tra Osama bin Laden e il regime talibano, sebbene gli Stati Uniti avessero contribuito allo sviluppo terroristico di Osama più di quanto avesse mai fatto l'Afganistan stesso. Nel frattempo, la Casa Bianca lanciò una delle campagne propagandistiche più straordinarie degli ultimi tempi in modo da convincere l'opinione pubblica americana che un attacco a Saddam Hussein avrebbe dovuto far parte della "guerra al terrorismo" americana. Questo tentativo di montare la "febbre per la guerra", a sua volta, suscitò nel mondo intero una profusione di congetture sui veri motivi che si nascondevano dietro l'ossessione che il presidente Bush nutriva per l'Iraq.

La prima e più ovvia manovra dei falchi della guerra fu quella di rivendicare che, parafrasando il presidente, "(Saddam) possiede le armi più mortali del nostro tempo". Il problema di questa motivazione è che probabilmente non è vera e, anche se lo fosse, suggerisce il bisogno di disarmare l'Iraq e non di muovergli guerra per rovesciare Saddam Hussein. C'è stato un tempo in cui l'Iraq era sicuramente in possesso di armi di distruzione di massa, ma tra il 1991 e il 1998, la Guerra del Golfo, le sanzioni dell'ONU e i suoi ispettori portarono alla distruzione di tutte o quasi tutte queste armi e della capacità irachena di produrne altre. Scott Ritter affermò "Con i miei sette anni a capo delle ispezioni sulle armi in Iraq per le Nazioni Unite, posso testimoniare personalmente sia sulla portata dei programmi sulle armi di distruzione di massa dell'Iraq, sia sull'efficacia del lavoro svolto dagli ispettori dell'ONU al fine di eliminarle". (4) Rumsfeld, che non ha mai rinunciato a nessuna idea in grado di contribuire alla sua causa rispose che "l'assenza di prove non è prova dell'assenza". In realtà, il PNAC non si era mai molto interessato alle armi di distruzione di massa di Saddam, tranne che per trovarvi una comoda scusa. "Mentre il conflitto non risolto con l'Iraq fornisce una giustificazione immediata, il bisogno di una solida presenza di forze americane nel Golfo trascende il problema del regime di Saddam Hussein", riportava un relativo passaggio del documento "Rebuilding America's Defenses". (5)

Il modo in cui l'amministrazione aveva insistito sul pericolo che Saddam potesse fornire armi nucleari a "malintenzionati" cominciò ad assomigliare ad una storia della prima guerra in Iraq secondo cui i soldati iracheni avevano tolto dei neonati dalle incubatrici in un ospedale del Kuwait e, come disse il padre del presidente Bush, "li avevano sparpagliati a terra come legna da ardere". Queste parole furono pronunciate alcuni giorni prima che le Nazioni Unite, il 29 novembre 1990, autorizzarono l'uso di "qualsiasi mezzo necessario" per espellere l'Iraq dal Kuwait. Dopo la fine della guerra, si scoprì che il Kuwait aveva ingaggiato un'importante società di relazioni pubbliche di Washington, la Hill & Knowlton, per diffondere la storia e per preparare la presenza di un presunto testimone oculare che il 10 ottobre 1990 confermasse davanti al Congresso la veridicità di questi fatti. Risultò che il testimone era la figlia dell'ambasciatore del Kuwait a Washington, che, nell'agosto del 1990, era molto lontana da quell'ospedale di Kuwait City. Altri testimoni che affermavano di aver assistito alle atrocità perpetrate dagli iracheni ammisero in seguito di essere stati imbeccati dalla Hill and Knowlton. (6)

Il 7 ottobre 2002, il presidente Bush diede il proprio contributo a quella che fu sicuramente una delle ragioni più bizzarre per una dichiarazione di guerra all'Iraq e al suo "dittatore omicida con armi di distruzione di massa". In un discorso tenuto a Cincinnati, fece prima di tutto notare che "Saddam Hussein è un dittatore omicida, dedito alle armi di distruzione di massa", quindi avvertì che "l'Iraq possiede una crescente flotta di velivoli aerei sia con equipaggio che radiocomandati in grado di sganciare armi chimiche e biologiche su una vasta area. La nostra preoccupazione è che l'Iraq stia studiando metodi di utilizzo di questi veicoli aerei radiocomandati per missioni che hanno come obiettivo gli Stati Uniti". Si suppone che in questa occasione Bush si stesse riferendo ai jet di addestramento Czech L-29, di cui l'Iraq acquistò 169 unità tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Il jet L-29 è un aereo a singolo motore e a due posti, progettato per addestramenti di volo di base per piloti principianti, la versione sovietica del Cessna americano. è dotato di una gittata di circa un chilometro e mezzo e di una velocità massima che si aggira intorno ai 270 chilometri orari. Vi sono alcuni documenti che testimoniano che anche prima della Guerra del Golfo l'Iraq aveva sperimentato la conversione di questi aerei in velivoli radiocomandati, ma non è da escludere che si trattasse di aerei per l'irrorazione delle colture. (7) Comunque, Bush non spiegò in che modo questi lenti velivoli avrebbero potuto raggiungere il Maine, che, a 10.000 chilometri di distanza dall'Iraq, è il punto geografico più vicino del continente statunitense, o la ragione per cui questi aerei non sarebbero stati abbattuti non appena avessero oltrepassato i confini iracheni.

Un altro importante motivo addotto dall'Amministrazione Bush nella sua richiesta di una guerra contro l'Iraq è l'appoggio segreto di Saddam ad Al Qaeda negli attacchi terroristici dell'11 settembre. Nell'agosto del 2002, Rumsfeld informò Tom Brokaw della NBC News che "Al Qaeda è presente in Iraq". Il 26 settembre 2002, affermò che il governo statunitense aveva ottenuto una conferma "a prova di proiettile" dei legami tra l'Iraq e i membri di Al Qaeda, includendo "prove fondate" che dimostravano che i membri della rete terroristica si trovavano ancora in Iraq. Proseguì suggerendo che l'Iraq aveva offerto un porto sicuro a bin Laden e al leader dei talibani, il Mullah Mohammed Omar. Durante il suo discorso dell'11 ottobre, il presidente Bush aggiunse che "alcuni dei leader di Al Qaeda fuggiti dall'Afganistan hanno trovato rifugio in Iraq". Dato che queste "prove fondate" non sono mai state rese pubbliche, si deve supporre che Rumsfeld e Bush si stessero riferendo ai circa 150 membri di un gruppo chiamato Ansar al Islam ("Sostenitori dell'Islam") che si rifugiò nelle aree curde dell'Iraq settentrionale. Il problema è che quest'area è controllata dai probabili futuri alleati curdi dell'America e non da Saddam. Non vi sono prove dei legami tra Saddam e Osama bin Laden, argomento spesso sostenuto dalla CIA, e una simile collaborazione non sarebbe plausibile considerando il fervore religioso di Osama e lo spietato regime laico di Saddam, in cui l'unico oggetto di culto è Saddam stesso.

L'unico esempio dell'appoggio di Saddam al terrorismo antiamericano è stato il presunto tentativo di assassinare l'ex presidente George H.W. Bush durante il suo giro trionfale del Kuwait a metà aprile del 1993, episodio all'origine del commento del figlio durante il discorso propagandistico del 2002 in cui disse che Saddam "cercò di far fuori mio padre". Il 26 giugno 1993, due mesi e mezzo dopo l'attentato, il presidente Clinton rispose lanciando missili cruise su Baghdad che causarono la morte di diversi passanti innocenti. Tuttavia, le prove dimostrano che il tentativo di assassinio non si è mai verificato e che probabilmente i servizi informativi kuwaitiani coprirono la scoperta di un giro di contrabbando sul confine tra Iraq e Kuwait dichiarando che i contrabbandieri puntavano al padre di Bush. (8) Forse la ragione ufficiale meno convincente addotta dall'amministrazione nel giustificare il desiderio di sbarazzarsi di Saddam è il mancato rispetto delle risoluzioni dell'ONU. Il 30 settembre 2002, Rumsfeld organizzò uno spettacolo al Pentagono che vedeva protagonista il filmato di una "cinemitragliatrice" che riprendeva l'artiglieria antiaerea irachena mentre faceva fuoco sugli aerei militari americani e britannici durante una perlustrazione sulle "no-fly zone" nell'Iraq settentrionale e meridionale. Rumsfeld disse "Con ogni missile lanciato sul nostro equipaggio aereo, l'Iraq manifesta il suo disprezzo per le risoluzioni dell'ONU, un fatto da tenere in considerazione durante la valutazione delle loro recenti proposte di ispezione". Ma, il Segretario Rumsfeld dovrebbe sapere che non esiste nessuna risoluzione dell'ONU (o di un'altra autorità internazionale) che legittimi le "no-fly zone". Queste zone furono create in modo unilaterale nel marzo del 1991 dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia per la protezione dei curdi e degli sciiti che si erano ribellati contro Saddam in seguito alla Guerra del Golfo. Sebbene ciò trattenne Saddam dall'usare la sua potenza aerea, l'amministrazione Bush rimase a guardare mentre Hussein sedava le insurrezioni poiché temeva che la riuscita di una rivolta curda avrebbe destabilizzato l'alleata Turchia che da tempo era impegnata in una dura repressione della propria minoranza curda. Ben presto la Francia si ritirò dalla partecipazione alle "no-fly zone", ma gli Stati Uniti e la Gran Bretagna continuarono, intensificando di recente gli attacchi aerei, anche se, per la legge internazionale, sono chiaramente illegali. (9)

Poi, c'è la dichiarazione dell'amministrazione secondo cui la caduta di Saddam porterà la democrazia in Iraq e in altri paesi del Golfo Persico. In un'intervista con il Financial Times di Londra, Condoleezza Rice affermò che la libertà, la democrazia e la libera iniziativa non si "fermeranno di fronte all'Islam" e che dopo il rovesciamento del regime di Saddam mediante la forza militare, gli Stati Uniti "si dedicheranno totalmente" a trasformare l'Iraq in uno stato unificato e democratico. (10) Questa affermazione ricorda leggermente quella delle Forze Armate americane secondo cui la distruzione dell'Afganistan con bombardamenti ad alta quota era realmente un tentativo di liberare le donne afgane dai talibani. Se gli Stati Uniti fossero davvero interessati a riportare la democrazia nella regione del Golfo Persico, avrebbero potuto cominciare molto tempo addietro in Arabia Saudita o in una qualsiasi delle monarchie feudali in cui sono stati installati imponenti distaccamenti delle forze armate americane, come in Kuwait, in Bahrain, in Qatar, negli Emirati Arabi Uniti e nell'Oman.

Visto che tutti i motivi che giustificano la belligeranza nei confronti dell'Iraq non hanno molto senso, alcuni osservatori internazionali sono andati a cercare altrove le vere ragioni dell'amministrazione. Una teoria preponderante è che il vero motivo risiede nel petrolio dell'Iraq. La grandezza delle sue riserve è seconda solo a quella dell'Arabia Saudita. Dato che sia il presidente che il vicepresidente sono entrambi ex dirigenti di compagnie petrolifere e che il padre del presidente, anch'egli un ex presidente, fondò nel 1954 la compagnia petrolifera Zapata Offshore, vi sono buone motivi per credere che questi uomini abbiano molta familiarità con la ricchezza petrolifera dell'Iraq. La società Zapata trivellò il suo primo pozzo in Kuwait. Nel 1963, Bush padre decise di fondere la Zapata con un'altra società creando il gigante petrolifero Pannzoil. Tre anni più tardi vendette le sue azioni diventando così miliardario. Nel 1998 e nel 1999, la Halliburton Company di Houston, presieduta all'epoca da Cheney, vendette a Saddam attrezzature per giacimenti petroliferi per circa 23,8 milioni di dollari. Forse, secondo questa linea di pensiero, la ragione dell'ossessione di Bush junior per l'Iraq è il desiderio di impossessarsi del suo petrolio. Gli Stati Uniti necessitano di una grande quantità di petrolio per coprire il fabbisogno del loro enorme settore automobilistico, oltre ad essere interessati al controllo di altri paesi la cui industria è analogamente dipendente dall'importazione di petrolio. Come osserva Anthony Sampson, esperto del settore e autore di un classico sulle compagnie petrolifere, Le sette sorelle, "Gli interessi petroliferi occidentali influenzano da vicino le politiche militari e diplomatiche e non è casuale che mentre le compagnie americane si fanno concorrenza per l'accesso al petrolio nell'Asia Centrale, gli Stati Uniti stiano costruendo basi militari nella regione". (11)

Gli Stati Uniti sarebbero in grado di cacciare Saddam, ma impossessarsi del petrolio iracheno è tutta un'altra faccenda. In ogni guerra, gli Stati Uniti rischiano di vedere Saddam ordinare la messa a fuoco dei giacimenti petroliferi, come fece in Kuwait nel 1991. Nel breve periodo, ciò avrebbe un effetto dirompente sul prezzo del petrolio e sull'economia degli Stati Uniti. Ma forse, nel lungo periodo, l'effetto sarebbe più preoccupante, dato che Francia, Russia, Cina e altri paesi hanno stipulato contratti multimiliardari con Saddam secondo cui vengono autorizzati ad eseguire trivellazioni nei giacimenti petroliferi iracheni. Al momento, questi contratti sono stati congelati a causa delle sanzioni dell'ONU, ma i paesi coinvolti vogliono chiaramente proteggere i propri investimenti. Non vedranno di buon occhio la prospettiva di venire tagliati fuori dagli Stati Uniti. Probabilmente non c'è niente che possano fare di fronte a un fatto compiuto dell'esercito americano, ma se gli Stati Uniti non favorissero i loro investimenti impedendo una trivellazione di vasta portata, le controversie legali che ne seguirebbero avrebbero una portata altrettanto ampia. Forse i magnati del petrolio alla Casa Bianca non stanno prestando molta attenzione a questo problema. Sono ipnotizzati da pensieri di dominio globale basati sul controllo delle principali fonti di petrolio.

Un'altra popolare teoria ritiene che l'interesse degli Stati Uniti in Medio Oriente sia essenzialmente influenzato dal Likud, il partito di governo israeliano. Si pensa che il desiderio di sbarazzarsi di Saddam rifletta la vasta gamma di interessi degli uomini di destra israeliani che vogliono garantire la continuità della loro superiorità militare nella regione. Molte delle figure chiave della seconda amministrazione Bush e del PNAC hanno profonde connessioni con il Likud. Tra questi, Richard Perle, presidente della Defense Policy Board, comitato che deve rendere conto al vicesegretario della Difesa Paul Wolfowitz; Douglas Feith, vicesegretario alle Difesa per la pianificazione politica, una delle quattro cariche più alte del Pentagono; e David Wurmser, assistente speciale del fondatore del PNAC John Bolton, Sottosegretario di Stato per il controllo delle armi nell'amministrazione di Bush figlio. Tutti vantano un lungo curriculum di opposizione ad iniziative per la pace, come gli accordi di Camp David tra Israele e la Palestina, e di richieste di entrata in guerra degli Stati Uniti non solo contro l'Iraq, ma anche contro gli altri nemici di Israele, la Siria, il Libano e l'Iran.

Perle è un membro del consiglio di amministrazione del Jerusalem Post e l'autore del capitolo "Iraq: Saddam Unbound" (Iraq: Saddam è libero - N.d.T.) nel libro del PNAC Present Dangers. In privato, Feith è un socio di un piccolo studio legale di Washington specializzato nel rappresentare i produttori di munizioni israeliani in cerca di connessioni con le industrie di armi americane. Prima di arrivare al Dipartimento di Stato, Wurmser era a capo dei progetti sul Medio Oriente dell'American Enterprise Institute (AEI). Inoltre, è l'autore del libro Tyranny's Ally: America's Failure to Defeat Saddam Hussein (1999) (Alleato della tirannia: il fiasco americano nello sconfiggere Saddam Hussein - N.d.T.), pubblicato dalla AEI e la cui prefazione è stata scritta da Perle. Durante l'amministrazione Reagan, Feith fu il consulente legale speciale di Perle, all'epoca vicesegretario alla difesa per gli affari di sicurezza internazionale. Un altro personaggio, Meyrav Wurmser, moglie di David Wurmser e cofondatrice del Middle East Media Research Institute (Memri), fornisce servizi di traduzione e diffusione di storie attinte dalla stampa araba che immancabilmente mettono gli arabi in cattiva luce.

Nel luglio del 1996, questi quattro personaggi scrissero un documento di presa di posizione per l'allora subentrante Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu del partito Likud intitolato "A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm" (Un cambiamento netto: una nuova strategia per la difesa del regno - N.d.T.). Nel documento, si invitava Israele a ripudiare gli Accordi di Oslo, così come il concetto sottostante di "pace in cambio di terra" e ad annettere permanentemente tutta la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Inoltre, si raccomandava ad Israele di sostenere l'eliminazione di Saddam Hussein come primo passo verso un cambiamento di regime in Siria, Libano, Arabia Saudita e Iran. Nel novembre del 2002, il Primo Ministro israeliano Ariel Sharon, anch'egli membro del Likud, ripeté le stesse parole mentre spronava gli Stati Uniti ad impegnarsi ad attaccare o sovvertire il governo iraniano non appena avessero finito di sistemare Saddam. Vi sono molti altri funzionari e parassiti della seconda amministrazione Bush che sostengono questi punti di vista o hanno opinioni simili. Date le loro rinomate simpatie, è plausibile pensare che stiano cercando di metterli in atto con il pretesto della "guerra al terrore". (12)

E ancora, un'altra teoria perfettamente ragionevole è che la febbre della guerra americana contro l'Iraq sia una macchinazione degli scaltri politici della Casa Bianca. è stato suggerito che, indipendentemente dallo scoppio della guerra con l'Iraq, la campagna contro Saddam Hussein aveva lo scopo di influenzare la politica interna americana e le elezioni del novembre del 2002. Secondo molti commentatori, si è trattato di un caso di utilizzo di "armi di distrazione di massa". (13) L'obiettivo era sostenere la dubbiosa legittimità della presidenza di George W. Bush e distrarre gli elettori americani dai suoi trascorsi non proprio cristallini. Dovendo affrontare le elezioni di medio termine del 2002, i leader del partito repubblicano avevano estremo bisogno di deviare la discussione dagli stretti legami del presidente e del vicepresidente con la corrotta Enron Corporation, dall'enorme deficit di bilancio federale costantemente in crescita, dai tagli fiscali che favoriscono fortemente i ricchi, da una grave perdita delle libertà civili dovuta al Ministro della Giustizia Ashcroft, dalla rottura dei trattati sui missili anti-balistici e sul riscaldamento globale da parte del presidente e dall'imbarazzo di aver preso atto che Al Qaeda è ben lungi dall'essere stata sconfitta.

Da questo punto di vista, l'influenza dei consiglieri politici chiave della Casa Bianca, Karl Rove e Andrew Card, si è dimostrata molto più efficace di quella del Segretario alla Difesa Rumsfeld o del Segretario di Stato Powell. Vi sono prove che suggeriscono che fu Rove a prendere la decisione che soverchiava l'unilateralismo degli ordini dei falchi del Pentagono e che, il 12 settembre, portò il presidente a tenere un discorso alle Nazioni Unite in cui si richiedevano nuove ispezioni in Iraq. Rove si era reso conto che l'opinione pubblica americana stava reagendo tiepidamente allo scoppio di una guerra in Medio Oriente senza l'appoggio di nessun alleato. Questa prospettiva si inserisce perfettamente nel recente contesto storico. Durante la Guerra del Vietnam, le decisioni relative alla politica estera del presidente Kennedy, di Johnson e di Nixon si basarono quasi esclusivamente su considerazioni di politica interna piuttosto che su grandi strategie o sulle stime dei servizi informativi. (14) Per George W. Bush, la strategia ha funzionato. Evento raro nella moderna storia politica americana, il partito che da due anni governa la Casa Bianca ha visto accrescere il suo potere al Congresso, ottenendo il controllo di entrambe le Camere.

Concordo con alcuni aspetti di ognuna di queste spiegazioni. Il petrolio, Israele e la politica interna hanno tutti avuto un ruolo nell'atteggiamento dell'amministrazione Bush nei confronti dell'Iraq. Ma sento l'esigenza di inserirli in un contesto storico più ampio. Una seconda guerra tra gli Stati Uniti e l'Iraq segnerebbe anche il culmine di un processo iniziato mezzo secolo fa, quando gli Stati Uniti per la prima volta fecero un uso segreto e illegale della CIA (Central Intelligence Agency) per rovesciare un governo eletto democraticamente. Il colpo di stato del 1953, orchestrato dalla CIA, contro il Primo Ministro iraniano Mohammad Mossadeq scatenò una serie di eventi che videro anche lo scoppio della rivoluzione dell'Ayatollah Khomeini del 1979 contro lo Scià e il suo padrone, gli Stati Uniti. Questa rivoluzione distrusse uno dei due pilastri della strategia americana nel Golfo Persico: lo sviluppo di stati satellite autoritari e dittatoriali, come l'Arabia Saudita e l'Iran, da utilizzare come fonti di petrolio e baluardi contro l'influenza sovietica. La rivoluzione islamica in Iran comportò un importante riassetto della politica estera americana nella regione. Nello stesso anno, l'Unione Sovietica invase l'Afganistan e gli Stati Uniti cominciarono segretamente a fornire armi agli afgani anti-sovietici, così come a Osama bin Laden. Ciò provocò una serie complessa di schieramenti che in ultima analisi portarono i veterani della resistenza afgana anti-sovietica ad organizzare gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 contro New York e Washington.

Dopo la rivoluzione del 1979 in Iran, gli Stati Uniti decisero di spalleggiare il nemico giurato del clero islamico appena salito al potere, vale a dire il tiranno laico iracheno Saddam Hussein. Nel settembre del 1980, Saddam invase l'Iran. Quando l'Iran stava avendo la meglio, l'amministrazione Reagan cominciò in segreto a fornirgli informazioni satellitari e armi, compresi i primi fondamenti per lo sviluppo di armi biologiche e gli ingredienti basilari degli agenti chimici che, per dirla con le parole memorabili del presidente Bush, utilizzò "per gassare il proprio popolo". La guerra Iraq-Iran causò uno spaventoso numero di perdite umane da entrambe le parti. Nel 1990, gli Stati Uniti lasciarono che Saddam pensasse che la conquista del Kuwait sarebbe stata tollerata. A partire dagli anni Venti, ogni leader iracheno si è ripromesso di invadere il Kuwait per riunificarlo con l'Iraq, e Saddam non faceva eccezione. In seguito, gli Stati Uniti colsero l'occasione presentatasi con l'invasione irachena del Kuwait per estendere su larga scala il loro impero di basi militari nel Golfo Persico. Come osserva lo studioso di questioni medio orientali Stephen Zunes, "Gli Stati Uniti utilizzarono l'invasione irachena del Kuwait come scusa per l'allargamento, a lungo desiderato, dell'egemonia militare, politica ed economica nella regione". (15) A loro volta, gli attacchi dell'11 settembre hanno fornito agli Stati Uniti una nuova occasione di espandere il loro potere e la loro influenza nell'area e questa volta, con la potenzialità di usare le nuovi basi nel Golfo Persico per instaurare ancora più basi negli antichi territori compresi tra i fiumi Tigri ed Eufrate in Iraq.

In sintesi, credo che la vera spiegazione del piano del governo americano per una seconda guerra contro l'Iraq sia la stessa della guerra nei Balcani nel 1999 e in Afganistan nel 2001-2002: le pressioni implacabili dell'imperialismo e del militarismo. Concordo con Jay Bookman, un redattore dell'Atlanta Journal-Constitution, quando chiede, "Perché l'amministrazione sembra non preoccuparsi di una strategia di uscita una volta destituito Saddam? Perché non ce ne andremo. Dopo la conquista dell'Iraq, gli Stati Uniti creeranno basi militari permanenti nel paese da cui dominare il Medio Oriente, il vicino Iran compreso". (16)

NOTE 1. CBS News, come riportato dal New York Times, 5 settembre 2002, p. A10; Bob Woodward, Bush at War (New York: Simon and Schuster, 2002); e Chris Bury, "A Tortured Relationship: U.S.-Iraq relations, Part 2: War," ABC News, 18 settembre 2002.
2. Robert Kagan e William Kristol, editori, Present Dangers: Crisis and Opportunity in American Foreign and Defense Policy (San Francisco: Encounter Books, 2000).
3. PNAC, "Rebuilding America's Defenses," p. 51; e Nicholas Lemann, "The Next World Order," New Yorker, 1 aprile 2002, p. 44. I am indebted to John Pilger for drawing my attention to the PNAC's activities. Vedi New Statesman, 16 dicembre 2002.
4. Scott Ritter, "Is Iraq a True Threat to the U.S.?" Boston Globe, 20 luglio 2002.
5. PNAC, "Rebuilding America's Defenses," p. 14.
6. Vedi Tom Regan, "When Contemplating War, Beware of Babies in Incubators," Christian Science Monitor, 6 settembre 2002; e Associated Press, "Not All Iraq Claims Backed by Evidence," 22 dicembre 2002.
7 Vedi Victoria Samson, "Unmanned Aerial Vehicles: Iraq's 'Secret' Weapon?" Center for Defense Information Terrorism Project, 10 ottobre 2002.
8. La fonte più importante su questo argomento è Seymour Hersh, "A Case Not Closed," New Yorker, 1 novembre 1993.
9. Stephen Zunes, Tinderbox: U.S. Foreign Policy and the Roots of Terrorism (Monroe, Maine: Common Courage Press, 2003), p. 86; Robert Dreyfuss, "Persian Gulf-or Tonkin Gulf?" The American Prospect, fol. 13, n. 23 (dicembre 2002); e Eric Schmitt, "Pentagon Shows Videos of Iraq Firing At Allied Jets," New York Times, 1 ottobre 2002.
10. James Harding, Richard Wolffe e James Blitz, "U.S. Will Rebuild Iraq as Democracy, Says Rice," The Financial Times, 22 settembre 2002.
11. Anthony Sampson, "West's Greed for Oil Fuels Saddam Fever," The Observer, 11 agosto 2002.
12. Vedi, inter alia, Brian Whitaker, "U.S. Thinktanks Give Lessons in Foreign Policy," The Guardian, 19 agosto 2002; Jill Junnola, "Perspective: Who Funds Whom?" Energy Compass, 4 ottobre 2002; Eric Margolis, "After Iraq, Bush Will Attack His Real Target," The Trotonto Sun, 10 novembre 2002; Margolis, "Bush's Mideast Plan: Conquer and Divide," The Toronto Sun, 8 dicembre 2002; Sandy Tolan, "Beyond Regime Change," Los Angeles Times, 1 dicembre 2002; e Jim Lobe, "Neoconservatives Consolidate Control over U.S. Mideast Policy," Foreign Policy in Focus, 6 dicembre 2002.
13. Dan Plesch, "Weapons of Mass Distraction," The Observer, 29 settembre 2002; e Brian J. Foley, "War Cries: Weapons of Mass Distraction," CounterPunch, 8 novembre 2002.
14. La miglior fonte su questo argomento è Daniel Ellsberg, Secrets: A Memoir of Vietnam and the Pentagon Papers (New York: Viking, 2002).
15. Zunes, Tinderbox, p. 85. 16. "The President's Real Goal in Iraq," Atlanta Journal-Constitution, 29 settembre 2002.

Copyright Chalmers Johnson

Documento originale
Iraq Wars
Traduzione di Stefania Berra

Questo saggio, scritto da Chalmers Johnson, autore di Blowback, è stato adattato a partire dal suo prossimo libro sul militarismo americano, The Sorrows of Empire: How the Americans Lost Their Country, che verrà pubblicato alla fine del 2003 dalla Metropolitan Books. è stato presentato per la prima volta su www.tomdispatch.com, un log del sito Web del Nation Institute che offre un flusso costante di fonti alternative, notizie e opinioni da parte di Tom Engelhardt, editore di lunga data, autore di The End of Victory Culture e membro del Nation Institute.









questo articolo è tratto da un elenco di documenti riguardanti i "neoconservatori" o "neocon" americani presenti sul sito di Fisica/Mente. Non rispecchia quindi necessariamente l'opinione del curatore del sito Kelebek. Fare clic qui per la pagina principale di questa parte del sito, dedicata ai neoconservatori.




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